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Legacy of Kain: Soul Reaver: intervista a Amy Hennig

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Articolo a cura di Domenico Leonardi

Ah, Soul Reaver. Me lo ricordo bene! Questa piccola gemma spaventosa fece molto parlare di sé quando approdò su PSone nel 1999. Indossando i panni del ferito ed emarginato vampiro Raziel, il nostro obiettivo era quello di vendicarci del corrotto signore dei vampiri Kain e ripristinare l’ordine nel decadente mondo di Nosgoth.

Ricordo con piacere che il gioco aveva un approccio ai combattimenti molto ispirato; i vampiri avversari non potevano essere uccisi in maniera convenzionale così, dopo averli affrontati corpo a corpo e indeboliti, bisognava gettare i loro corpi su pali appuntiti o esporli alla luce del sole per finirli del tutto. Il design dei livelli era da urlo, favorito anche dall’importante abilità di Raziel di entrare in un mondo spettrale per superare ostacoli o risolvere puzzle.


Ma soprattutto, Soul Reaver viene ricordato per la sua storia e per i suoi personaggi. E dobbiamo ringraziare il game director Amy Hennig per questo! Come forse saprete, Hennig successivamente entrò nella squadra di Naughty Dog, celebre sviluppatore PlayStation, in veste di creative director e autore di Jak & Daxter e dei tre titoli della serie Uncharted.

Hennig ha deciso di sfogliare il libro dei ricordi legato allo sviluppo di Soul Reaver, rivelando al PlayStation Blog alcuni aneddoti inediti sulle origini del gioco.



  • PlayStation Blog: Qual è stato il concept originale alla base del gioco?
Amy Hennig: Non credo lo sappiamo in molti, ma inizialmente Soul Reaver non fu concepito come il seguito di Blood Omen: Legacy of Kain – il nostro intento era quello di creare una nuova IP chiamata “Shifter” ispirata a Paradiso Perduto. Il protagonista doveva essere essenzialmente un angelo della morte decaduto, un mietitore di anime cacciato dai suoi vecchi compagni, intenzionato a smascherare e a distruggere il falso dio che tutti loro avevano sempre servito.

Il concept dietro a Shifter è alla base di quello che successivamente diventò Soul Reaver; il nocciolo è tutto qui. L’eroe era una creatura non morta capace di spostarsi tra il regno spettrale e il regno materiale, e in grado di planare utilizzando quel che resta delle sue ali ridotte a brandelli.

Quando ci è stato chiesto di trasformare questo concept nel seguito di Blood Omen, la nostra sfida fu quella di prendere tutte queste idee e di inserirle in maniera convincente nella mitologia di Legacy of Kain.


  • Vi rendevate conto che stavate lavorando su qualcosa di speciale? Quali sono stati gli stati d’animo che vi hanno accompagnato nel processo creativo – incertezza, fiducia, terrore?
Amy Hennig: Non sei mai veramente sicuro mentre sei nel bel mezzo della realizzazione di un progetto. Eravamo un team molto piccolo all’inizio, siamo stati in grado di lavorare a fari spenti per un po’, e questo ci ha dato la possibilità di sperimentare idee inusuali che altrimenti si sarebbero scontrate contro un prematuro scetticismo e ipercriticità.

Quando abbiamo condiviso il concept iniziale con gli altri colleghi della compagnia ci fu un grande entusiasmo per l’idea, ma anche della giustificabile preoccupazione derivata dal fatto che stavamo intraprendendo una strada potenzialmente ricca di rischi tecnici. Abbiamo dovuto ridurre all’osso qualche aspetto secondario – inizialmente avevamo previsto di includere delle abilità mutaforma da affiancare al passaggio di piano reale/spettrale, ad esempio – e ci siamo dovuti concentrare su elementi più importanti per la base del nostro concept. Quando il gioco è stato rivelato alla stampa, abbiamo iniziato a percepire che stavamo lavorando su qualcosa di speciale.

Tuttavia ci siamo posti traguardi molto impegnativi a livello tecnico – quindi, sì, ci sono stati anche attimi di incertezza e di terrore durante la nostra avventura!

Eravamo molto entusiasti del concept di Shifter quindi quando ci è stato chiesto di adattare l’idea e di renderla un seguito di Blood Omen siamo rimasti sgomenti. I contrasti creativi possono essere ispiratori e corroboranti, e una volta accettata la sfida, il concept si è evoluto in forme molto eccitanti.


  • Avete preso ispirazione da qualcosa in particolare per i temi, i personaggi o i dialoghi del gioco?
Amy Hennig: Abbiamo preso ispirazione da così tante cose che è difficile nominarne solo alcune… Come ho detto prima, l’idea originale è stata deliberatamente ispirata all’angelo ribelle del Paradiso Perduto di Milton. La struttura spirituale del mondo è basata sullo Gnosticismo, sulla credenza che il cosmo sia governato da un malevolo dio “pretendente”, che gli umani siano prigionieri di una bugia spirituale, e che la sfida del genere umano sia una lotta per la libertà di azione e di pensiero contro un fato che sembra apparentemente insormontabile.

Al futuro distopico di Nosgoth volevamo dare una forma decadente, tipo stile industriale del diciannovesimo secolo, mentre il reame spettrale era ispirato all’architettura ritorta e disorientante del cinema Espressionista tedesco del 1920.

Per quanto riguarda i dialoghi, ci siamo ovviamente mossi sugli stessi binari di Blood Omen: Legacy of Kain, col suo linguaggio florido e ricco di monologhi. Volevamo portare uno stile simile anche nel sequel. Ho preso anche ispirazione dai dialoghi densi e colti dei drammi storici come Un Uomo per Tutte le Stagioni, le opere di Becket, e Il Leone d’Inverno.


  • Era un titolo molto ambizioso per l’epoca. Quali sono state le sfide più grandi che avete incontrato durante lo sviluppo del gioco?
Amy Hennig: La sfida più grande, senza neanche pensarci, è stato far funzionare il data-streaming affinché il nostro mondo apparisse completamente interconnesso, senza cesure, e senza alcun tempo di caricamento. Credo che siamo stati tra i primi sviluppatori a fare i conti con questo problema (insieme a Naughty Dog, con Crash Bandicoot).

La cosa si è rivelata molto più difficile di quanto ci aspettassimo – se ricordo bene, stavamo ancora combattendo contro delle texture ballerine a due mesi dalla data di uscita. Siamo riusciti a sistemarle per il rotto della cuffia, ma mi domando: avremmo accettato una sfida del genere se avessimo conosciuto la sua reale difficoltà?

La seconda sfida, ovviamente, era quella di capire come incamerare due gruppi di dati, uno per il mondo materiale e l’altro per quello spettrale, e come implementare il morphing in tempo reale tra i due ambienti. Il nostro piano originale era troppo ambizioso, e prevedeva il texture-morphing unito al geometry-morphing, ma abbiamo capito subito che la memoria per le texture era troppo limitata (all’epoca) per fare quello che avevamo in mente.

Abbiamo avuto l’idea di utilizzare a nostro vantaggio la timeline d’animazione di 3DS Max per fondere i valori spettrali con i vertici geometrici – ad esempio, il frame 0 era il mondo materiale, e il frame 1 era il regno spettrale (o vice versa, non ricordo con certezza). In questo modo, alterando le coordinate x,y,z di ogni vertice, anche i valori dell’illuminazione RGB si alteravano, creando una versione più sinistra e bizzarra del regno fisico.

La sfida definitiva è stata quella contro i tempi di consegna. Essendo stato concepito come un mondo aperto, un gioco adventure 3D alla Zelda, Soul Reaver era incredibilmente ambizioso. Il motore Gex della Crystal Dynamics ci ha dato una mano con la tecnologia 3D, ma fondamentalmente abbiamo dovuto scrivere un motore di gioco da zero, mentre stavamo sviluppando una nuova IP. Al giorno d’oggi, uno sviluppatore non farebbe questa cosa in meno di tre anni (almeno), ma la Eidos voleva il gioco in meno di due.

Alla fine, siamo riusciti a consegnare Soul Reaver in meno di due anni e mezzo, abbiamo dovuto fare dei tagli dell’ultimo minuto che ancora sono dispiaciuto se ci penso. Il gioco era davvero troppo ambizioso, ma se avessimo potuto consegnare il titolo l’inverno successivo rispetto all’estate della consegna, avremmo potuto effettuare dei tagli più eleganti.


  • Quanto si avvicina il gioco finito alle vostre idee di partenza?
Amy Hennig: Si avvicina molto, considerando tutti i cambi che abbiamo fatto durante lo sviluppo. Abbiamo dovuto tagliare alcuni contenuti, ma il concetto alla base del gioco è rimasto immutato – molto simile alle idee che avevamo con Shifter.

Per rispettare la data di consegna prevista per l’agosto del 1999, abbiamo dovuto tagliare gli ultimi livelli di gioco, e abbiamo dovuto terminare con un finale ricco di suspense per gettare le basi di Soul Reaver 2. Nei nostri piani, Raziel doveva stanare e distruggere tutti i suoi fratelli così come Kain – dopodiché utilizzando le sue nuove abilità, avrebbe dovuto attivare l’organo sopito della Cattedrale del Silenzio per spazzare via tutti i vampiri di Nosgoth con un’ondata sonica. Solo allora avrebbe realizzato di essere stato per tutto il tempo la pedina del Dio Antico, che la caccia ai vampiri ha avuto conseguenze devastanti e che l’unico modo per sistemare le cose è quello di utilizzare la clessidra di Moebius per tornare indietro nel tempo e alterare la storia (nel sequel).

Quindi la storia sarebbe stata simile, ma avrebbe seguito un percorso differente. Alla fine, per quanto io abbia odiato la sua schiettezza, il “Contiua…” alla fine di Soul Reaver probabilmente si è rivelato una fortuna nella sfortuna, perché credo che abbia aperto degli sbocchi di storia più interessanti per i sequels.


  • Di quali elementi di gioco siete maggiormente orgogliosi?
Amy Hennig: Sono molto orgoglioso di come un team relativamente piccolo sia riuscito ad affrontare tutte queste sfide tecniche pioneristiche. Da designer, sono ancora orgoglioso dell’originalità di Soul Reaver e del modo in cui siamo riusciti a fondere le meccaniche di gioco con la storia – per esempio, divorare anime per il sostentamento, e il modo in cui il piano spettrale è stato integrato con la barra della salute; il modo in cui sono stati progettati i combattimenti contro vampiri immortali; la possibilità di planare grazie a delle ali strappate; l’equilibrio tra le abilità di Raziel del mondo reale e quelle del mondo spirituale, specialmente la possibilità di utilizzare il terreno trasformato a proprio vantaggio. Per molti aspetti credo che sia il miglior gioco a livello di game design a cui abbia mai lavorato.


  • Come vuoi che venga ricordato Soul Reaver? Cosa ha portato al mondo dei videogiochi?
Amy Hennig: Affettuosamente, spero! Anche dopo 13 anni, sono ancora gratificato dal vedere fan e colleghi che vengono verso di me e mi parlano di quanto il gioco sia stato importante per loro, o come li ha influenzati quando erano giovani game designers. La serie ha ancora uno zoccolo duro di fan entusiasti, ed è ricordata con affetto, cosa che non potevamo prevedere tutti quegli anni addietro.

Spero che venga ricordato come un gioco ben costruito, con una direzione artistica molto originale, una storia avvincente, e come un titolo rivoluzionario per quello che ha rappresentato per PlayStation all’epoca. Anche il nostro approccio al doppiaggio è stato innovativo per i tempi, perché abbiamo fatto registrare i dialoghi a tutti gli attori contemporaneamente, invece che registrarli separatamente. E’ il processo che utilizziamo ancora oggi su Uncharted – sfrutta le basi delle tecniche che abbiamo utilizzato con Soul Reaver quindici anni fa.


  • Quale personaggio di Soul Reaver ti è rimasto nel cuore?
Amy Hennig: E’ impossibile scegliere tra Raziel e Kain – sono due facce della stessa moneta, come si suol dire. Come personaggio, forse preferisco Kain. Anche se in apparenza può sembrare esclusivamente un cattivo, è un eroe classico, che combatte per la libertà in un mondo frenato dal Fato. Raziel è più una figura tragica, una pedina, cosa che permette di sviluppare una certa compassione per lui – ma è anche un personaggio pieno di difetti, ossessionato da un senso di vendetta ipocrita. Mi è piaciuto lavorare su entrambi.

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